«Voglio provare una cosa», lo informai, sorridendo un po’ della sua espressione perplessa. Gli posai le mani su entrambi i lati del viso e chiusi gli occhi per concentrarmi. Non ero stata bravissima in passato, quando Zafrina aveva cercato di insegnarmelo, ma ormai conoscevo meglio il mio scudo. Avevo riconosciuto la parte che lottava per non separarsi da me, l’istinto automatico di proteggere me stessa sopra ogni altra cosa. Era ancora molto più difficile che non riparare sotto lo scudo altre persone insieme a me. Sentii l’elastico rimbalzare di nuovo mentre lo scudo lottava per proteggermi. Dovetti sforzarmi per togliermelo di dosso: ci volle tutta la mia capacità di concentrazione. «Bella!», esclamò Edward, sconvolto. In quel momento capii che stava funzionando e mi concentrai ancora di più, ripescando i ricordi specifici che avevo conservato per questo momento, lasciando che m’inondassero la mente, nella speranza che entrassero anche nella sua. Alcuni ricordi non erano chiari, dei ricordi umani indistinti, visti con occhi deboli e sentiti con deboli orecchie: la prima volta che avevo visto il suo volto... come mi ero sentita quando mi aveva abbracciata nella radura... il suono della sua voce attraverso il buio dell’incoscienza quando mi aveva salvata da James... il suo viso mentre mi aspettava sotto un baldacchino fiorito per sposarmi... tutti i bei momenti passati sull’isola... le sue mani fredde che toccavano nostra figlia attraverso la mia pelle...E i ricordi più nitidi, perfetti: il suo viso quando avevo aperto gli occhi nella mia nuova vita, davanti all’alba infinita dell’immortalità... quel primo bacio... quella prima notte...
Le sue labbra, improvvisamente bramose contro le mie, interruppero la concentrazione. Annaspai e il peso ribelle che stavo allontanando da me mi sfuggi. Tornò al suo posto con uno schiocco, come un elastico, a proteggere i miei pensieri. «Ops, l’ho perso!», sospirai. «Ma io ti ho sentita», sussurrò. «Come ci sei riuscita?». - «È stata un’idea di Zafrina. Ci siamo allenate qualche volta». Era sbalordito. Batté due volte le palpebre e scosse il capo. «Ora lo sai», dissi spensierata, alzando le spalle. «Nessuno ha mai amato tanto qualcuno quanto io amo te». «Hai quasi fatto centro». Sorrise e aveva ancora gli occhi un po’ più dilatati del solito. «Conosco solo un’eccezione». - «Bugiardo». Ricominciò a baciarmi, ma si fermò all’improvviso. «Puoi rifarlo?», mi chiese. Feci una smorfia. «È molto difficile». Aspettò, con espressione impaziente. «Non posso reggerlo se mi distrai anche solo un pochino», lo avvertii. «Faccio il bravo», promise. Increspai le labbra, socchiudendo gli occhi. Poi sorrisi. Premetti di nuovo le mani sul suo viso, sollevai lo scudo dalla mente e ricominciai dove avevo smesso: con il ricordo nitidissimo della prima notte dentro la mia nuova vita... indugiando sui particolari. Senza fiato, una risatina mi sfuggì quando il suo bacio insistente interruppe di nuovo i miei sforzi. «Accidenti», ruggì, baciandomi famelico lungo il profilo del mento. «Abbiamo un sacco di tempo per allenarci», gli ricordai. «Tutta l’eternità», mormorò. «Mi sembra convincente». E poi continuammo a occuparci beati di quella parte piccola, ma perfetta, della nostra eternità.
Era una sensazione strana - eppure non mi sorprendeva, perché ormai tutto era strano -, quella di possedere un talento naturale per qualcosa. Da umana non ero mai stata la migliore in niente. […] non ero mai stata la prima della classe. Doti sportive, nemmeno a parlarne. Nessuna inclinazione artistica né musicale, nessun talento particolare da vantare. Premi a chi leggeva troppi libri non ne davano mai. Dopo diciotto anni di mediocrità ero abbastanza abituata a rientrare nella media. […] avevo rinunciato da tempo a qualunque aspirazione di emergere, di brillare. Sfruttavo al meglio ciò che avevo, senza mai sentirmi a posto veramente nel mio mondo. Adesso,invece, era diverso- Ero stupefacente per loro e per me stessa. Era come se fossi nata per essere una vampira. Al pensiero mi venne voglia di ridere, perfino di mettermi a cantare. Avevo trovato il mio posto nel mondo, un posto su mi sura per me, il posto in cui brillare.
«Renesmee», sussurrai. Lo stress mi trasformò di nuovo in una statua. Di certo Renesmee non aveva l’odore di un animale. Rischiavo di metterla in pericolo? «Vieni a vedere», mormorò Edward. «So che sarai bravissima». «Mi aiuterai?», gli sussurrai fra le labbra immobili. «Certo». - «Anche Emmett e Jasper, nel caso che...?». «Faremo attenzione, Bella. Non preoccuparti, saremo pronti. Nessuno di noi metterebbe mai in pericolo Renesmee. Rimarrai sorpresa di vedere come ci abbia già stregati tutti quanti. Sarà perfettamente al sicuro, non preoccuparti». Il desiderio di vederla, di capire la venerazione con cui ne parlava, sciolse la mia rigidità. Feci un passo avanti. [...]«Pronta?», disse Edward, con voce di nuovo dolce. Annuii nervosa. Mi strinse forte la mano nella sua e mi guidò verso casa. Mi aspettavano tutti, una fila di sorrisi al tempo stesso accogliente e sulla difensiva. Rosalie era vari passi dietro di loro, accanto alla porta. Stava da sola, finché Jacob non la raggiunse e le si parò davanti, più vicino del normale. Non c’era alcun senso di agio in quella vicinanza, anzi, apparivano entrambi turbati da tanta prossimità. Una cosa minuscola sporgeva dalle braccia di Rosalie e sbirciava da dietro Jacob. Immediatamente catturò la mia attenzione e ogni mio pensiero come nient’altro da quando avevo riaperto gli occhi. «È nata solo da due giorni?», ansimai incredula. La bimba-sconosciuta fra le braccia di Rosalie sembrava avere varie settimane, se non mesi. Era grande almeno il doppio rispetto alla piccolina
dei miei vaghi ricordi e già capace di stare a schiena dritta mentre si allungava verso di me. I suoi capelli luminosi, color del bronzo, ricadevano in boccoli dietro le spalle. I suoi occhi color cioccolato mi esaminarono con un interesse per nulla infantile: era adulto, consapevole e intelligente. Per un attimo alzò una mano verso di me, poi la ritirò per toccare il collo di Rosalie. Se il suo viso non fosse stato così strabiliante, bello e perfetto, non avrei creduto che fosse la stessa bambina. Mia figlia. Ma nei suoi tratti c’era Edward e, nel colore degli occhi e delle guance, me stessa. Gli occhi di Renesmee erano fissi su di me. Poi, come aveva fatto solo qualche secondo dopo la sua nascita violenta, mi sorrise. Un lampo luminoso di denti bianchi piccoli e perfetti. Dentro di me indugiavo e feci un passo incerto verso di lei. Tutti si mossero velocissimi. [...] Soltanto Alice restò al proprio posto. «Oh, datele un po’ di fiducia», li rimbrottò. «Non stava per farle niente. Anche voi vorreste guardarla più da vicino». - «Edward», dissi piegandomi verso Jasper per vederla meglio. «Posso?». [...]«Lo vedi?», gli disse Rosalie. «Vuole andare da Bella».- «Vuole me?», mormorai. Gli occhi di Renesmee - i miei occhi - mi fissavano smaniosi. Edward tornò al mio fianco con un balzo. Posò le mani delicatamente sulle mie braccia e mi spinse in avanti. «Ti sta aspettando da quasi tre giorni», disse. Eravamo a pochi passi da lei. Sembrava emettere ondate improvvise di calore, nell’impazienza di toccarmi. O forse era Jacob che stava tremando. Notai le sue mani agitarsi mentre mi avvicinavo. Tuttavia, da tantissimo tempo non lo vedevo con un’espressione così serena. «Jake... sto bene», gli dissi. Mi dava il panico vedere Renesmee fra le sue mani tremanti, ma cercai di mantenere il controllo. Mi guardò torvo, di sottecchi, come se il pensiero di Renesmee fra le mie braccia lo riempisse di panico. Renesmee frignò irrequieta e si avvicinò, le manine strette a pugno. All’improvviso dentro di me scattò qualcosa. Il suono del suo pianto, la familiarità dei suoi occhi, il modo in cui sembrava ancora più impaziente di me di quel ricongiungimento, tutto s’intesseva nel più naturale dei ricami, mentre lei tentava di afferrare l’aria fra noi. All’improvviso Renesmee divenne assolutamente reale e ovviamente la riconobbi. Fu perfettamente naturale fare l’ultimo passo e raggiungerla, mettendo le mani al posto giusto mentre l’attiravo con dolcezza a me. Jacob tese le lunghe braccia per lasciarmela cullare, senza però mollare la presa. Ebbe un piccolo brivido quando ci sfiorammo. La sua pelle, che era sempre stata così calda, ora mi sembrava una fiamma viva. Aveva quasi la stessa temperatura di Renesmee. Forse un paio di gradi di differenza. Renesmee appariva indifferente, o quantomeno abituata, al freddo dell mia pelle. Mi guardò e sorrise di nuovo, mostrando i dentini squadrati e le due fossette. Poi, con un gesto deciso, allungò le mani verso il mio viso. Nello stesso istante, tutte le mani che mi toccavano strinsero la presa, anticipando la mia reazione. Me ne accorsi appena. Ero senza fiato, sbalordita e spaventata dall’immagine strana e allarmante che mi aveva occupato la mente. Sembrava un ricordo potentissimo e lo percepivo mentalmente senza che mi oscurasse la vista, ma mi era totalmente ignoto. Lo contemplai mentre Renesmee mi guardava trepidante e cercai di capire cosa stesse accadendo, lottando disperatamente per mantenere la calma. Oltre a essere sconvolgente e sconosciuta, l’immagine era anche sbagliata, in qualche modo. Riconobbi chissà come il mio viso, il mio vecchio viso, ma era strano, capovolto. Capii all’istante che lo stavo guardando come lo vedevano gli altri, anziché riflesso. Il volto del ricordo era deforme, distrutto, coperto di sudore e sangue. Tuttavia, la mia espressione si aprì in un sorriso adorante; gli occhi marroni brillavano cerchiati da occhiaie profonde. L’immagine si allargò, il mio viso si fece più vicino allo sguardo dell’osservatore nascosto e svanì di colpo. La mano di Renesmee scivolò dalla mia guancia. Mi fece un grande sorriso e mostrò di nuovo le fossette. L’unico rumore nella stanza era il battito dei cuori. Nessuno, a parte Jacob e Renesmee, respirava. Il silenzio si amplificò, come fossero tutti in attesa che dicessi qualcosa. «Cosa è... stato?», riuscii a farfugliare. «Cosa hai visto?», domandò curiosa Rosalie, appoggiandosi a Jacob, che sembrava al tempo stesso molto concentrato e molto fuori luogo. «Cosa ti ha mostrato?». - «È stata lei a mostrarmelo?», sussurrai. «Te l’ho detto che era difficile da spiegare», mi mormorò Edward all’orecchio. «Ma come mezzo di comunicazione è efficacissimo». «Cos’era?», chiese Jacob. Battei varie volte le palpebre. «Uhm. Ero io. Credo. Ma avevo un aspetto orribile». «È l’unico ricordo che ha di te», spiegò Edward. Ovviamente anche lui aveva visto ciò che mi aveva mostrato Renesmee nei suoi pensieri. Era ancora turbato, la voce roca per aver rivissuto quel ricordo. «Voleva dirti che ha capito, che ti riconosce». «Ma come ha fatto?». Renesmee non sembrava preoccupata dei miei occhi trasecolati. Abbozzava un sorriso tirandomi una ciocca di capelli. «Come faccio io a sentire i pensieri? Come fa Alice a vedere il futuro?», rispose retorico Edward, che scrollò le spalle. «Ha un dono».
My Best Friend.
Edward s’irrigidì e si voltò automaticamente nell’altra direzione, come se qualcuno lo avesse chiamato. «Oh!», esclamò. Per un brevissimo istante aggrottò le sopracciglia. Poi di colpo si aprì in un sorriso raggiante. «Che c’è?», domandai. «Un regalo di nozze a sorpresa». - «Eh?». Non rispose, ma riprese a ballare trascinandomi nella direzione opposta, lontano dalle luci, là dove cominciava la notte, che circondava la pista da ballo luminosa. Si fermò soltanto quando raggiungemmo il lato buio di un grande cedro. Guardò dritto verso l’ombra più nera. «Grazie», disse all’oscurità. «Sei stato molto... gentile». «"Gentile" è il mio secondo nome», rispose una voce roca e familiare, dal nero della notte. «Posso intromettermi?». La mia mano corse alla gola e, se Edward non mi avesse tenuta in piedi, sarei crollata. «Jacob!», ansimai non appena ripresi a respirare. «Jacob!». - «Ciao, Bella». Arrancai verso il suono della sua voce. Edward non mollò il mio braccio finché non avvertii un altro paio di mani forti afferrarmi nel buio. Mentre Jacob mi avvicinava a sé, sentivo il calore della sua pelle bruciare attraverso il vestito di raso sottile. Non si sforzò neanche di ballare: mi abbracciò, mentre il mio viso affondava nel suo petto. Si chinò per sfiorarmi la fronte con la guancia. «Rosalie non mi perdonerà se non le concedo il giro di pista che le devo», mormorò Edward e compresi che stava per lasciarci soli e farmi un regalo tutto suo: quel momento assieme a Jacob. «Oh, Jacob». Ero scoppiata a piangere, quasi non riuscivo a parlare. «Grazie». «Smettila di frignare, Bella. Ti rovini il vestito. Sono io, punto». - «Punto? Oh, Jake! Ora è tutto perfetto». Sbuffò. «Già, la festa può iniziare. Finalmente il testimone è arrivato». - «Ora tutti quelli a cui voglio bene sono qui». Sentii le sue labbra sfiorarmi i capelli. «Scusa il ritardo, dolcezza». «Sono strafelice che tu sia qui!». - «L’idea era questa».